OTS: passione e professionalità sotto il mare
Simone Mingoia racconta la sua esperienza al termine del corso per Operatore tecnico subacqueo
0I ragazzi che hanno appena concluso il corso per OTS a Cagliari lo sanno bene. E hanno imparato tutte le dinamiche che entrano in gioco passando dall’azzurro del cielo al blu del mare, grazie a 600 ore di lezione teorica e pratica al fianco degli esperti del settore e 200 ore di tirocinio.
Un’esperienza avvincente che apre loro ulteriori possibilità lavorative, come spiega un entusiasta Simone Mingoia, corsista fresco di qualifica.
Dove nasce la passione per questa specialità?
Da un’occasione quasi fortuita: svolgendo il ruolo di istruttore subacqueo, mi trovavo già a operare nel settore. Ma un conto è farlo dal punto di vista ricreativo, altra cosa è esercitare a livello professionale.
Ho sfruttato al meglio questa possibilità e ne è venuta fuori un’esperienza davvero positiva, durante la quale ho potuto utilizzare attrezzature di cui ignoravo addirittura l’esistenza.
E se in un primo momento le ore di teoria sembravano davvero tante – e non tutti partivamo dallo stesso livello di conoscenze – anche quelle sono servite per farci entrare pienamente nell’ottica del corso. C’è sempre da imparare.
Quindi immergersi in un mondo nuovo per sfruttare un’ulteriore occasione lavorativa.
La preparazione fornitaci da questo corso ci ha consentito di ottenere una qualifica importante, che ci consentirà di lavorare a livello professionale. Lo ripeto, niente a che vedere con l’aspetto ricreativo: parliamo di impegno, professionalità, conoscenze tecniche e modi di rapportarsi assolutamente differenti.
Qual è stato l’aspetto più interessante del corso?
Lo stage. Indubbiamente. È bello, dopo tanta teoria, mettere in pratica ciò che si è imparato e studiato a lungo. Ci siamo divisi in due gruppi: il primo operava a Cagliari, in area portuale; il secondo a Carloforte, sia nei porticcioli che all’interno della tonnara. Quest’ultima è stata un’esperienza eccezionale. Basti pensare che nel bacino del Mediterraneo trovano spazio appena cinque tonnare: tre in Sardegna e due in Marocco.
Per cinque settimane siamo stati impegnati in ruoli e mansioni differenti, ad esempio effettuare le ispezioni delle reti, liberare dalle maglie alcune specie di pesci. Anche poter ammirare la fauna marina è stato particolarmente emozionante.
Cosa invece ti ha messo a dura prova?
Devo dire la verità: il fatto di possedere già un buon livello di acquaticità mi ha permesso di non avere grandi problemi. La cosa forse più difficile è stato lavorare nella più completa oscurità, specialmente nelle aree portuali. Ecco perché durante l’addestramento abbiamo usato la maschera oscurata: ci si deve abituare a lavorare anche al buio, ricorrendo al tatto e all’intuito.
Cosa cambia quando si è là sotto?
Per prima cosa devi restare concentrato. È un lavoro di testa. Certo, l’acquaticità è alla base della nostra preparazione: non puoi avere problemi di assetto. Ma solo l’esperienza ti consente di sapere cosa fare in quel preciso momento, anche in condizioni non ideali. Le incognite sono tante. Perciò è fondamentale il contatto diretto con l’operatore che ti guida passo passo durante l’esecuzione di un lavoro (il casco è dotato di un sistema di comunicazione e di una telecamera).
Se si diventa un bravo OTS, dunque, è anche grazie alla competenza di chi insegna come fare.
Assolutamente sì. Abbiamo avuto docenti molto professionali e – devo dire la verità – anche molto pazienti! Sono stati in grado di trasmettere ogni minima nozione, non tralasciando mai anche ciò che sembrava logico e scontato. Sempre molto attenti ed esaustivi. Alla sicurezza in mare abbiamo dedicato ben quattro sessioni del corso. E c’è un motivo: quando ti appresti a eseguire un’operazione particolare, devi sempre pensare che sei in acqua, dunque in un ambiente sempre rischioso. La paura ci deve essere sempre. Anche se ci sono altri con te, sei comunque solo.
E adesso?
Sono aperto ad ogni esperienza lavorativa. Certo, il mercato isolano offre possibilità limitate: più che altro interventi nei porti e lavori su condotte e oleodotti.
Vorrei invece – dopo aver conseguito la certificazione Opito che abilita a lavorare offshore – dedicarmi a tutto ciò che questo settore offre, piattaforme comprese, esulando dal contesto strettamente portuale. È un lavoro che ti porta a girare il mondo. E ora lo faccio con una consapevolezza ancora maggiore.